PERSONAL


IL GRANDE TORINO

Il Grande Torino fu una squadra imbattibile, capace di vincere 5 titoli consecutivi (se non si considera l'interruzione del "campionato di guerra") tra il 1942 e il 1949, e una Coppa Italia nel 1942; asse portante della Nazionale di quegli anni, riusci' a portare anche 10 giocatori contemporaneamente in campo in azzurro. Capitano e leader indiscusso di quella formazione era Valentino Mazzola.
La formazione tipo, conosciuta a memoria da tutti gli sportivi italiani era: Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola. Il ciclo di vittorie venne interrotto il 4 maggio del 1949, quando l'aereo che trasportava l'intera squadra, di ritorno da Lisbona ando' ad infrangersi contro il muraglione posteriore della Basilica di Superga.
In quel terribile incidente aereo, rimasto nel cuore dei torinesi e dei torinisti come la "Tragedia di Superga", oltre all'intera squadra, titolari e riserve, perirono anche alcuni dirigenti, i tecnici e tre giornalisti al seguito.
(Modificato da Wikipedia)


di Giovanni Arpino

Me Grand Turin Ma 'n fiur l'aviu

Russ cume 'l sang
fort cume 'l Barbera
veuj ricurdete adess, me grand Turin.
En cui ani 'd sagrin
unica e sula la tua blessa jera.

Vnisi'u dal gnente, da guera e da fam,
carri bestiame, tessere, galera,
fratej mort en Russia e partigian,
fami'e spiantia', sperduva ogni bandiera.

A jeru pover, livid, sbaruva',
gnanca 'n sold 'n sla pel e per rusche'
at duvavi surie', brighe', preghe',
fina a l'ultima gusa del to fia'.

Fume' a vuria' di' na cica 'n quat,
per divertise a duvi'u rii 'd poc,
per mange' a mangiavu fina i gat,
geru gnun: i furb cume i fabioc.

Ma 'n fiur l'aviu e t'jeri ti, Turin,
taja 'n tl'asel jera la tua bravura,
giuventu' nosta, che tuti i sagrin
purtavi via cunt tua facia dura.

Tua facia d'uverie', me Valentin!,
me Castian, Riga, Loik e cul pistin
'd Gabett, ca fasia vni tuti fol
cunt vint dribbling e poi jera gia' gol.

Filadelfia! Ma chi sara' 'l vilan
a ciamelu 'n camp? Jera ne cuna
'd speranse, 'd vita, 'd rinasensa,
jera sugne', crie', jera la luna,
jera la stra' dla nostra chersensa.

T'las vinciu' 'l Mund.
a vintani t'ses mort.
Me Turin grand
me Turin fort.

Mio Grande Torino Ma avevamo un fiore

Rosso come il sangue
forte come il Barbera
voglio ricordarti adesso, mio grande Torino.
In quegli anni di affanni
unica e sola la tua bellezza era.

Venivamo dal niente, da guerra e da fame
Carri bestiame, tessere, galera,
fratelli morti in Russia e partigiani,
famiglie separate, perduta ogni bandiera

Eravamo poveri, lividi, spaventati,
neanche un soldo sulla pelle e per lavorare
e dovevi sorridere, brigare, pregare
fino all'ultima goccia del tuo fiato.

Fumare voleva dire una cicca in quattro,
per divertirsi dovevamo ridere di poco,
per mangiare mangiavamo perfino i gatti,
non eravamo nessuno: i furbi come gli sciocchi.

Ma avevamo un fiore ed eri tu, Torino,
tagliata nell'acciaio era la tua bravura,
gioventu' nostra che tutti i dispiaceri
portavi via con la tua faccia dura.

La tua faccia d'operaio, mio Valentino!
mio Castigliano, Riga, Loik, e quella peste
di Gabetto, che faceva venire tutti matti
con venti dribbling ed era gia' gol.

Filadelfia! Ma chi sara' il villano
a chiamarla un campo? Era una culla
di speranze, di vita, di rinascita,
era sognare, gridare, era la luna,
era la strada della nostra crescita.

Hai vinto il Mondo,
a vent'anni sei morto.
Mio Torino grande
Mio Torino forte.


Mario Rigamonti

Mario Rigamonti era il centromediano del Grande Torino, ma anche il fratello di mio nonno. Era un marcatore duro e coraggioso, talvolta rabbioso negli interventi. Il suo ruolo era quello di centrosostegno. Non era ancora stato coniato il termine di "stopper" e mancava ancora il libero. Doveva preoccuparsi di non far segnare il centravanti avversario, se la vedeva lui con gli avversari piu' difficili.

Mario sapeva esaltarsi nella lotta contro l'uomo da marcare e cercava lo scontro confidando nelle sue qualita' atletiche notevoli. Grande colpitore di testa, rapido nello scatto e nel recupero, imperioso negli interventi in acrobazia. Un punto sicuro della difesa, meno raffinato di Virgilio Maroso, piu' simile a Aldo Ballarin. Uno degli elementi dal rendimento piu' costante, capace di giocare tutte le partite ad un ritmo infernale, con la massima concentrazione. Era considerato il duro della difesa, da cui il soprannome "La roccia" . Molti centravanti dell'epoca ricordano la sua decisione nella marcatura, cercava di anticipare i diretti avversari, ove non gli riusciva non esitava a ricorrere alle maniere forti. Da lui non si chiedevano preziosismi. Spesso Valerio Bacigalupo lo aiutava in difesa richiamando la sua attenzione.

Esuberante nella vita come sul campo, era lo "scapestrato" per eccellenza del gruppo, tanto da meritarsi anche il soprannome di "Matto Grosso" nella trasferta brasiliana del Grande Torino. Leggendarie le sue corse in motocicletta (passione che altri in famiglia, come mio zio Marco, hanno in gioventu' a loro volta coltivato) e leggendari i suoi ritardi ai raduni estivi della squadra (e forse questo e' quello che ho ereditato io, invece delle virtu' pedatorie...). Insieme a Bacigalupo e Danilo Martelli formava il "Trio Nizza", i tre mattacchioni del Toro che amavano cantare, fare scherzi, divertirsi.

Una bella storia, una di quelle belle storie fuori dal campo, che resero ancor piu' grande, ancor piu' leggendario quel Torino. "Matto, matto come un cavallo, ma tanto buono" cosi' era solito definirlo bonariamente il Presidente Novo. Mario aveva una passione sfrenata per la moto e nonostante ci fosse il veto societario, Novo lo perdonava sempre per le sue scorribande da centauro. Era generoso, spontaneo, pronto a riconoscere i meriti dei compagni: "Mazzola e' meta' squadra, il resto lo facciamo noi". E' morto con i suoi compagni nella tragedia di Superga. A lui e' intitolato oggi lo stadio di Brescia.

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